Video di Sara Cao - 2024, 8:06
Nel suggestivo scenario della Cappella Vantini di Palazzo Thun a Trento, nel mese di aprile, si è svolta un'esperienza unica: 'Tu che mi guardi, io che mi racconto'.
Questo coinvolgente progetto d'arte relazionale, portato avanti con passione e sensibilità da Virginia Sartori e La Chigi, ha visto la partecipazione di circa 60 donne in un viaggio intimo e condiviso attraverso la narrazione delle proprie storie.
Le artiste hanno dedicato del tempo prezioso ad ascoltare e raccogliere le testimonianze delle partecipanti, creando uno spazio sicuro e accogliente dove ogni donna potesse condividere liberamente le proprie esperienze e emozioni.
Questo processo empatico e partecipativo ha contribuito a creare un legame profondo tra le protagoniste e ha permesso loro di sentirsi ascoltate e valorizzate.
Attraverso l'uso simbolico dei calchi dei volti, le artiste hanno trasformato le storie raccolte in una forma tangibile di espressione artistica, creando un'installazione che ha reso visibili le storie delle partecipanti in modo suggestivo e toccante.
La performance live delle artiste ha aggiunto un ulteriore livello di significato all'esperienza, offrendo un momento di connessione e condivisione emozionale per tutte le persone presenti. Le due artiste leggendo le storie delle donne hanno creato un'atmosfera carica di autenticità e trasformato le emozioni raccolte in un'esperienza collettiva.
Questa straordinaria mostra ha offerto al pubblico l'opportunità di immergersi nelle storie e nelle esperienze delle protagoniste, stimolando la riflessione e la consapevolezza su tematiche importanti e universali.
Leggi le storie di chi ha partecipato:
"Entro nella stanza, avvolta dalla penombra.
L’artista mi accoglie con parole dolci, poi mette un po’ di musica. Potrebbe essere una situazione senza tempo, ma per qualche motivo mi ricorda l’adolescenza.
Mi fa sedere. Penso che forse preferirei stare sdraiata, ma mi dice che per il calco non funzionerebbe allo stesso modo. Mi fido. Nessuno mi aveva mai fatto il calco del viso, prima. Da questo momento chiudi forte gli occhi, e non aprirli finché non sarà tutto finito, mi dice dopo avermi assicurato i vestiti con una mantellina, simile a quelle che usa il parrucchiere, e avermi impiastrato l’attaccatura dei capelli con una pomata per non far aderire il gesso. Uno strato di crema, uno di vaselina. Viscido e freddo, ma in qualche modo confortevole. Anche l’odore è gradevole, almeno all’inizio.
Strizzo gli occhi, poi li chiudo e li rilasso. Primo strato di gesso, prima sulla fronte, poi sulle guance, poi sul naso, poi sul mento, fino alla base del collo. Il mio viso mappato, manipolato. Chissà se mi riconosceranno. Prima umido, poi secco.
Inizio a meditare, in qualche modo mi è richiesto dall’artista. Raggiungo uno stato di semicoscienza, sono una a cui piace provare a rilassarsi. Ricordi sparsi, pensieri sparsi. Faccio fatica a concepirmi esclusivamente come donna, eppure questa situazione rimanda a una serie di pratiche e gestualità tipicamente femminili, su tutte la cura di sé, la percezione del proprio corpo, la confidenza intima. L’artista mi chiama.
Stacco le labbra, ho molte cose da dire. Con una smorfia mi libero definitivamente della maschera, che, seppure muta e cieca, custodirà la mia testimonianza. Per te, per le altre.
Tu che mi guardi, io che mi racconto."
Camilla Nacci Zanetti